mercoledì 23 marzo 2011

The pains of being pure heart - Belong




Dopo l’album di esordio del 2009, ritornano i Pains of being pure heart con “Belong”.Perfetta colonna sonora per una notte di mezza estate. 10 tracce all’insegna del miglior teenage pop americano. All’ ascolto dei brani fantastico ad occhi aperti, distesa sul prato di margherite, cuscino dolce e morbido. Con l’immaginazione estraniante dalla realtà, mentre tutto scorre, vago per mille sentieri, rimanendo ferma, immobile, sdraiata sulla freschezza umida dell’erba primaverile”Change the mind, stop the time”. Cullata come una neonata dalle melodie di Belong, assaporo il gusto dolce-amaro dell’ingenuità, delicatamente strappo i petali di un girasole alla ricerca ingannevole di un sì o di un no. La risposta negativa “I know it is wrong, we just don’t belong”, urlata sottovoce dal lato femminile dei Pobuh, Peggy Wang, ondeggia sulle rive del confuso mar di pensieri. Nell’attesa incessante del futuro, un rullo di batteria ci trasporta nel flusso presente. Non si sa mai, quando meno te l’aspetti, tra capo e collo, può capitare di ritrovarsi al momento giusto nel posto giusto. Tutto è perfetto, ogni nota suona intonata come se tutti gli astri fossero allineati(Heavens gonna happen now ). Capelli al vento, l’adrenalina del primo incrocio di sguardi, i battiti del cuore non  conoscono limiti per attimi che non ritorneranno più indietro” and no matter what you say, it’s never gonna come back” (Heart in your heartbreak ). Rotolarsi nel parco come se fosse una piscina a cielo aperto “It’s only skin, we could swim”, sotto il sole cocente di mezz’agosto, rincorrersi a nascondino( The body  ). Sulle labbra il sorriso di un bambino che sogna di andare nello spazio, anche se non accadrà mai(Even in dreams ). Non è oro tutto quello che luccica. Dietro la felicità si nasconde la tristezza. Non si può gioire veramente, senza aver assaggiato la durezza della malinconia che colpisce tutti, anche il cuore della regina Anne”Queen Anne, you’re lying in the Wasteland”(Too tough). Dopo un debutto nella miglior tradizione dream-pop, il quartetto newyorkese, cerca di esplorare nuove linee melodiche, pur rimanendo ancorato all’humus compositivo del primo album.
Recensione pubblicata anche su The Wave Lenght





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