mercoledì 28 dicembre 2011

To sing is a state of mind : Jackson C. Frank


A volte le cose non vanno come vorremmo che andassero. E' deludente, ma è così. A Jackson C. Frank è andato tutto storto. La passione di Jackson C. Frank per la chitarra e per la musica nasce di fatto in ospedale, quando a scuola esplode la caldaia  e il giovane Jackson C. Frank, appena undicenne, si ritrova  varie ustioni su buona parte del corpo. Le sei corde allietano il suo ricovero in ospedale, un dottore gli regala la prima chitarra. Da quel giorno Jackson C. Frank non si staccherà mai dalla chitarra, ma il destino crudele (anche se sembra retorico dirlo) farà di tutto perché Jackson C. Frank abbandoni le sette note. Nel 1964 grazie ai soldi dell' assicurazione (arrivati in ritardo)  l'allora ventunenne Jackson Carey si trasferisce in Inghilterra e a Londra condivide un appartamento con Paul Simon e Art Garfunkel. Simon impressionato dal talento di Frank, decide di produrne nel 1965 il primo album omonimo, rilasciato solo nel Regno Unito. Il risultato è più che ottimo, dieci splendidi brani di folk struggente, che ti prendono e non ti lasciano più. Un cuscino di armonie su cui piangere e non sentirsi soli. Ma il successo di pubblico, manco a farlo apposta, non arriva, anche se, a onor del vero,  non mancano gli apprezzamenti di  colleghi illustri, fortemente influenzati dalla vena malinconica di Jackson C. Frank:  Paul Simon, Al Stewart, Drake, Sandy Denny. La paura di esibirsi sul palco, i problemi finanziari, il blocco dello scrittore segnano la fine della carriera musicale , Jackson Carey si sposa con una modella e nel 1969 ritorna negli Stati Uniti. Di stanza a Woodstock continua a scrivere,  i problemi familiari (la morte del figlio e della madre), e la conseguente depressione lo portano a vivere come homeless a metà degli anni settanta, tra la strada e gli ospedali. Nel 1984 prova a rientrare nel mondo della musica, va a New York, cerca di contattare Paul Simon, ma ogni tentativo è vano. A metà degli anni novanta l'ultimo barlume di luce, Jim Abbott, un fan del folk, riscopre l'opera musicale di Jackson C. Frank  e viene in aiuto del folk singer. Jackson C. Frank ricomincia a comporre e ad fare qualche perfomance live. Ma anche questa volta, niente lieto fine, Jackson C. Frank diventa cieco a causa di un proiettile vagante e dopo qualche anno, nel  Marzo 1999 muore. Jackson C. Frank non c'è più, il destino gli (ci) ha giocato un brutto scherzo. L'unica magra consolazione è ascoltarci il suo primo ed unico album. Una perla da non lasciarsi sfuggire: Jackson C. Frank è già morto una volta, facciamo in modo che non muoia di nuovo, sepolto dall'oblio.

giovedì 22 dicembre 2011

Loop - Heaven's End


Madre: "Cos'è questa musicaccia? Questo rumore assordante?"
Figlia :"E' il disco che mi hai comprato, mamma"

Il Walkman ve lo ricordate? Ecco, oggi, dopo secoli e secoli di polvere, l'ho ritirato fuori. Beh, non è proprio così l'ho fregato a mia mamma, ho tolto "La voce del padrone" e ci ho infilato "Heaven's End" (1987) dei Loop. E il viaggio è cominciato come ai vecchi tempi quando un sabato sera di qualche annetto fa da brava nerd me l'ascoltai tutto d'un fiato. Mi ritrovai alle porte del Paradiso senza essere morta. Musica a palla nelle orecchie e il corpo sdraiato sul letto. Diamine, un'esperienza surreale di quelle incomprensibili se non si vivono in prima persona. Premuto il tasto "play", parte un muro di suoni da non crederci, della serie "ma il disco non è mica rotto ?". Eh, no, cavoli, tutto funziona alla perfezione, i Loop, band londinese, formata nel 1986 dal vocalist/ chitarrista Robert Hampson, per il disco di debutto si divertono a sfondarci i timpani  con una dose insana di psichedelia e heavy rock. Se avete amato "The Perfect Prescription" degli Spacemen 3 e adorate le sonorità sporche alla Blue Cheer, Heaven's End è il disco della vostra vita. Un'esagerazione? Forse, ma credetemi prima di perdere tempo a girarvi i pollici davanti a un bicchiere di gin tonic, date un ascolto furtivo a "Heaven's End". E se qualcuno vi dirà che è shoegaze, regalategli un paio di cuffie ben funzionanti.



sabato 17 dicembre 2011

Orchestral Manoeuvres in the Dark - Organisation




Dopo Gary Numan mi ritrovo a parlare degli Orchestral Manoeuvres in the Dark (spesso abbreviato in OMD), gruppo synth-pop che ottenne un certo successo con il brano "Enola Gay" nel 1980, con ben cinque milioni di copie vendute in tutto il mondo. La canzone in questione è piuttosto inflazionata, presenta un ritornello di facile presa e si rifà agli stilemi classici del pop anni ottanta. Il testo invece, come ebbi modo di discernere tempo fa (qui), nasconde una profondità in sospettabile per l'epoca, passata ingiustamente alla storia come l'era trionfante dell'edonismo reaganiano. Ma sia chiaro gli OMD non sono solo Enola Gay, sarebbe come perdersi in un bicchiere d'acqua, mezzo pieno e mezzo vuoto. Forse non particolarmente originali, Paul Humphreys (voce, sintetizzatori) e Andy McCluskey (sintetizzatori, basso, voce), principali artefici del sound OMD, emergono per l'abilità indiscussa nel comporre perfette canzoni pop. 

La forma mentis del duo spazia dalla new wave a certa elettronica (non mancano timidi echi di Kraftwerk in "The Misunderstanding", "Stanlow"), ma inevitabilmente salta all'occhio la sensibilità melodica del combo. Anche nelle composizioni caratterizzate da atmosfere più eteree e malinconiche non manca quel sesto senso innato per l'armonia ("The More I see you", "2nd Thought"). Dietro l'oscurità delle nuvole, raffigurate in copertina, si nascondono i raggi del sole.  Gli OMD  sono l'arcobaleno all'improvviso dopo una giornata piovosa, un'infinita gamma di sfumature da provare per assaporare un attimo fuggente di felicità e spensieratezza, ben al riparo da  certe soluzioni musicali pacchiane e trash di certo synth-pop e italo disco. Un incrocio ben riuscito tra retroguardia, avanguardia e classicismo pop. Gli OMD traggono spunto dalla più classica forma canzone pop, ma  non disdegnano la contaminazione, seppur tenue, con i tratti tipici del nascente movimento post-punk/ new wave, particolarmente florido a Liverpool (vedi Echo & The Bunnymen, Teardrop Explodes, Pink Industry, Pink Military), città natale del gruppo. Non a caso il primo singolo degli OMD, "Electricity" esce su Factory Records, storica etichetta del post-punk.  
OMD & Ian McCulloch
La formula pop vincente della band raggiunge il suo apice con l'album successivo "Architecture & Morality" (1981) per poi perdere di attrattiva e smalto con il passare degli anni. Nel 2006 la coppia Humphreys e McCluskey si è ritrovata dopo anni di incomprensioni, realizzando prima un tour e poi un album "History of Modern" nel 2010. Il mio consiglio è di lasciar perdere la reunion e riscoprire i capolavori della band, prima "Organisation" e "Architecture & Morality", senza preconcetti e pregiudizi.

venerdì 9 dicembre 2011

Gary Numan - The Pleasure of Principle



Gary Numan, classe 1958, a diciannove anni, nel  1977, in piena epoca punk, forma a Londra la sua prima band, i Tubeway Army, si fa accompagnare dal bassista Paul Gardiner e da  vari batteristi Bob Simmonds, Jess Lidyard, Sean Burke e Barry Benn.  Il primo album del gruppo esce nel 1978 per la Beggars Banquet. Il risultato finale è un interessante incrocio tra sonorità post-punk ("Listen to the sirens", "The dream police"), acustiche (Everyday I die", "Jo The Waiter") e simil punk con venature glam ("My Shadow in Vain", "Are you Real"). Nel 1979 segue "Replicas", pubblicato su Beggars Banquet per la Gran Bretagna e su Atco Records per gli USA.



Inizialmente l'etichetta è restia alla pubblicazione, il lavoro di Numan & Co presenta un sound elettronico ben definito, si scontra, inevitabilmente con le furie oltranziste dell'ondata punk. A rivelarlo è lo stesso Numan: " Il nostro album era fatto interamente di chitarre, e io ho sostituito il loro suono con quello del sintetizzatore. Quando ho presentato alla mia casa discografica un album semi-elettronico, mi hanno detto semplicemente: "No". Tuttavia, non avevano altri soldi: avevano investito tutto quanto avevano su di noi, e quindi dovettero pubblicarmelo lo stesso. Se avessero avuto più soldi, l'album non sarebbe mai stato pubblicato.". Con il senno di poi la casa discografica ci avrebbe perso economicamente ("Are Friends electric" raggiunge la posizione numero uno nella classifica inglese del Giugno 1979) e la storia della musica non avrebbe conosciuto uno dei massimi capolavori del synth pop, un fulmine al ciel sereno nella scena underground inglese. L'album presenta chiari riferimenti al glam rock dei Roxy Music e alla new wave degli Ultravox, ma brilla di luce propria, dimostra la possibilità di unire a sonorità elettroniche  atmosfere dark, tipiche di certo post-punk e  testi mai banali, ispirati alla narrativa fantascientifica di Philip K. Dick. Nel 1979 i Tubeway Army si sciolgono, Numan non abbandona la musica, decide di continuare la sua carriera da solista, insieme all'amico bassista di lunga data Paul Gardiner. Segue la pubblicazione di "The Pleasure of Principle", prima opera solista di Numan. Il disco conferma lo  straordinario stile di Numan, alieno e glaciale, abile nel catturare l'attenzione dell'ascoltatore all'istante con soluzioni compositive mai scontate. Il sintetizzatore Minimoog svolge la funzione da pifferaio magico che incanta e stupisce, ne è conferma il notevole successo di pubblico di canzoni come "Cars" e "Complex", e dell'intero album. La fremesi creativa continua con il lavoro successivo "Telekon"(1980), per poi scemare con "Dance"," I, Assasin", "Warriors" fino al punto di non ritorno, "Machine + soul"(1992), di cui Numan è ben consapevole. Nel 2006 ha dichiarato in un'intervista a Ondarock :"Quando ho cominciato a fare musica, mi piaceva comporre, volevo essere parte del mondo musicale; una volta raggiunto il successo, specialmente in Inghilterra, cominciai a scrivere canzoni non per amore della musica, ma perché volevo che la mia carriera restasse a galla, e la casa discografica contenta. Questo è un motivo sbagliato per scrivere canzoni, ma io l'ho assecondato almeno fino al 1992, quando sono uscito con un disco talmente brutto che non piaceva neppure a me."   Numan ha superato la crisi compositiva a metà anni novanta, proseguendo  la propria carriera in maniera più che dignitosa con lavori dalla forte impronta industrial / gothic rock ("Sacrifice", "Dark Light", "Exile", "Pure", "Jagged", "Dead son rising").





venerdì 2 dicembre 2011

Wipers- Is This Real?






Greg Sage, ragazzo di Portland, Oregon, figlio di un fonico professionista, passa ore ed ore chiuso nella sala di registrazione e si diverte a fare compilations per gli amici. Un modo strano di divertirsi, forse. Ma negli inverni freschi e piovosi di Portland non c'è di meglio da fare. Il passatempo diventa passione, Greg nel 1977 decide di formare  i Wipers, concepiti inizialmente, non come vero e proprio gruppo, ma come recording project incentrato sulla figura di Sage, centrale, in ogni caso, per tutta la durata del progetto Wipers: Sage è l'unico componente fisso fino al 1999, il fulcro focale della band, nata a sua immagine e somiglianza. Per incidere il primo singolo "Better of Dead" (1979) sull'etichetta auto-finanziata Trap records Sage si fa ad accompagnare dal batterista Sam Henry e dal bassista Doug Koupal, trio stabile fino al 1981. Sempre nel 1979 esce il disco d'esordio, "Is this Real ?" sulla Park Avenue Records, niente sarà più lo stesso. Non in termini di popolarità o successo, Sage resta il nerd di prima, ma  la scena underground statunitense subisce una svolta all'istante, in quel 1979 americano, dominato dalla scena punk e hardcore poi, si accende la fiamma di rabbia adolescenziale, che per anni bruciava in disparte, in un angolo, senza manie di grandezza. La riservatezza è voluta, nelle intenzioni iniziali non ci dovevano essere tour o qualsivoglia evento promozionale, Sage aveva previsto di produrre 15 album in 10 anni. Con il senno di poi, non fu esattamente così, i Wipers non furono così prolifici, ma una cosa è certa, l'anima indipendente dei Wipers è inscalfibile. Sage e compagni avrebbero potuto cedere alla prima major di turno e finire sotto i riflettori dell'alternative rock, ottenere la meritata visibilità, ma una simile strategia discografica non era nei piani di Sage. Già parlare di piani, strategie e piani è lontano dalla natura naif e DIY(do it yourself) di Sage. In "Is This Real ?" emerge la voglia di esprimere se stessi in musica, ogni brano ritrae senza filtri lo stato d'animo di Sage, e nell'umore del leader dei Wipers, se sei un adolescente, quasi sicuramente, riesci a rispecchiartici. Un sottile velo di disperazione, misto a un'insana confusione dei ruoli e l'esplosione dell' ira ribelle vengono affrescati a mano libera nel disco di debutto dei Wipers. La voce lacerante di Sage colpisce al primo ascolto, in un baleno scorrono le undici tracce, uno sfogo a voce alta, che si distacca però dagli stilemi classici dell' hardcore americano. Sage preferisce strutture compositiva dilatate, le trame di chitarra sono aggressive e contemplative quando necessario e si uniscono alla perfezione con le linee di basso. Tutto ciò avviene con semplicità e non calanche. La realtà è mostrata nella sua crudezza, ma gli stralci veristi sono intervallati da pause cerebrali. Un modus operandi che raggiunge l'apice con l'album successivo "Youth of america", la narrazione in note del lato nascosto della gioventù americana: il malessere che si preferisce far finta di non vedere. Molti gruppi hanno imparato la lezione dei Wipers, in particolare Cobain, leader dei Nirvana sembra essersi follemente ispirato alla timbrica di Sage. Non mancano i dischi tributi ai Wipers, il più significativo è quello uscito nel 1993 sulla Kerr Records "Fourteen songs for Greg Sage and The Wipers", due cover lasciano il segno, "Return of the rat", rifatta dai Nirvana e "Pushing the extreme" riproposta da Thurston Moore. Un gruppo da riscoprire, soprattutto se siete fan dei Nirvana e non vi siete mai chiesti di chi fosse "D-7".